Psicosomatica: i messaggi del corpo

Aiutati  dal testimone consapevole diventa meno difficile essere sostenuti da un altro alleato prezioso nella ricerca della propria verità: si tratta del corpo, i cui messaggi tuttavia nella maggior parte dei casi vengono ignorati. E’un alleato tanto vicino quanto trascurato. Accade infatti il più delle volte che i sintomi del corpo come l’ansia e la depressione, o comportamenti disfunzionali tipici dei disturbi alimentari o delle dipendenze, o alcune malattie, si manifestano nel corso dell’esistenza come fenomeni strani, incomprensibili, inattesi. E spesso si ostinano a perdurare e non basta il tempo ad attenuarli, a farli scomparire. Neppure i farmaci sono utili ad evitare ricadute. Come mai quella ragazzina che ha vinto il concorso, che ha avuto di recente risultati sportivi eccellenti, è diventata anoressica? Come mai quell’adolescente che non hai “mai dato problemi”, collezionando voti brillanti, si è poi depresso durante l’università?

In mancanza di qualcuno che riconosca la sofferenza che il bambino e poi l’adolescente è costretto a negare per i motivi che abbiamo in precedenza analizzato (un familiare, un educatore, un insegnante, qualcuno che sappia “vedere”, definito appunto dalla Miller “testimone scorrevole”), se non si incontra nessuno che offra questa comprensione, che fornisca quest’assistenza morale, se tutte le autorità sono solidali con la negazione, chi soffre senza esserne cosciente trascorre la propria vita tra persone che minimizzano i traumi dell’infanzia e non avrà altra scelta che stare al gioco anche lui, comportandosi come se non gli fosse successo niente. Si sforzerà, senza saperlo, di portare avanti questa finzione a tutti i costi, anche se gli richiede un grande dispendio di energia.

Ma è una finzione che il corpo accetterà sempre meno. E presto o tardi si farà sentire, tramite i sintomi. Poiché il corpo sa tutto ciò che gli è successo, ma non è in grado di esprimerlo a parole. Esso è come il bambino che siamo stati un tempo, che vede tutto ma è inerme e impotente. Il corpo sa la verità, si attiene ai fatti, a ciò che è successo realmente, non a ciò che speravamo, credevamo o ci illudevamo fosse successo. Il prezzo dell’inconsapevolezza è pagato con la malattia del corpo, che tuttavia al contempo protesta e insiste senza rassegnarsi perché ci si riappropri della verità. ”l corpo sembra essere incorruttibile e ho l’impressione che conosce la verità molto più precisamente del mio io cosciente, poiché conosce tutto quello che ho vissuto con mia madre”[1]. Questa frase, espressa da una paziente, nella sua apparente semplicità è in pieno accordo con le recenti, complesse scoperte dell’epigenetica e della psico-neuro-immuno-psicologia, che rileva sempre di più l’importanza delle primissime esperienze di contatto madre – neonato (e anche madre – feto prima della nascita) per la salute e l’integrità del corpo.

Con l’aiuto dei sintomi il corpo costringe dunque ad ammettere tale verità anche a livello cognitivo, per consentirci di comunicare con il bambino che è vivo in noi e che in anni lontani è stato privato dell’amore di cui aveva bisogno. Tuttavia all’inizio proprio il sistema cognitivo afferma il contrario di ciò che le cellule del corpo hanno inconfutabilmente accumulato, essendo l’espressione della difese erette contro l’angoscia e la delusione, e rinforzate sempre di più dal sistema di norme, teorie, credenze e concezioni acquisite nel corso degli anni. Quando poi il sistema cognitivo inizia a prendere in considerazione le preziose informazioni del corpo, le sue funzioni possono riprendere normalmente. Si tratta di ristabilire una sorte di alleanza, in cui il sistema cognitivo, ammettendo di sapere ben poco di antichi accadimenti e di vissuti affettivi, può tuttavia offrire il suo sapere e ragionamento, la sua intelligenza e capacità riflessiva, ri-orientandoli a servizio di una nuova e più profonda comprensione.

L’adulto non più impotente e non più solo grazie al testimone consapevole, può dare dunque protezione al bambino che porta in sé (al corpo) e prestargli ascolto, consenten­dogli di articolare a suo modo e di raccontare la propria storia. Al­la luce di quella storia, le paure e le emozioni dell’adulto, che affiorano all’inizio ancora incomprensibili, acquisiscono significato: finalmente collocate in un contesto, non sono più minacciose. Sarà allora possibile rivivere i sentimenti conseguenti a quella antica condizione, intrappolati e repressi nel corpo da decenni: paura, tristezza, rabbia, ribellione, delusione per la fiducia tradita. “Sono proprio quegli anni a influenzare tutta la nostra vita, e proprio il confronto con quel periodo ci fornirà la chiave per capire gli attacchi di panico, l’ipertensione, le ulcere allo stomaco, l’insonnia che ci affliggono e – purtroppo – la rabbia apparente­mente inspiegabile che proviamo verso un neonato che urla. La logica di questi enigmi si svela immediatamente non appena deci­deremo finalmente di prendere coscienza della prima fase della nostra vita. Incominceremo allora a capire la nostra sofferenza, e allo stesso tempo i sintomi tenderanno ad attenuarsi gradatamen­te. Il nostro corpo non ne ha più bisogno, perché ormai abbiamo incominciato ad assumerci le nostre responsabilità verso il bambi­no sofferente che eravamo un tempo”[2].


[1]Miller A., 2005, La rivolta del corpo. Come superare i danni di un’educazione violenta, Raffaello Cortina Editore, p.79.

[2]Miller A., 2009, Riprendersi la vita. I traumi infantili e l’origine del male, Bollati Boringhieri Editore, p. 86.